Le strade allagate, i cittadini soccorsi con elicotteri e gommoni, il fango, il senso di impotenza di fronte una pioggia torrenziale che non accennava a smettere.
Immagini, queste, che tutti abbiamo visto in televisione. Dal 15 maggio, tg e programmi di approfondimento hanno trasmesso la cronistoria dell’alluvione che ha devastato la Romagna, portando via vite, case, interi paesi.
Alla devastazione è poi seguito il racconto degli aiuti. Degli “angeli del fango”, dei Volontari e delle Forze dell’Ordine impegnati sin dalle primissime ore dell’emergenza nelle località colpite.
Tra loro, 400 Volontari della Croce Rossa Italiana (soccorritori, operatori di emergenza, OPSA, psicologi) e 150 mezzi CRI (bobcat, ruspe, escavatori, idrovore, cucine da campo, ambulanze, gommoni, minibus) al servizio della popolazione.
Dal supporto sanitario alle attività di pulizia, dalla preparazione dei pasti al trasporto degli sfollati in aree sicure e, non ultimo, il supporto psicologico. La Croce Rossa è presente in questa emergenza a 360 gradi, per rispondere ad ogni tipo di bisogno.
Ma in cosa consistono, nel concreto, le attività di emergenza e cosa significa essere sul campo?
Ce lo spiegano Maria Chiara, Giuseppe e Mariella volontari della Croce Rossa di Parma, presenti quasi ininterrottamente sul territorio romagnolo già dal 16 maggio.
I PRIMI AD ARRIVARE – LA STORIA DI MARIA CHIARA
“La mia esperienza in questa emergenza è iniziata dalle primissime ore. – spiega Maria Chiara Malpeli, Consigliera nel Consiglio Direttivo del Comitato di Parma, e aggiunge -Martedì pomeriggio sono arrivate le prime richieste di supporto dal 118 di Ravenna e in poco più di due ore ero pronta a partire.”
Quello di Chiara e dei suoi compagni di equipaggio, Michele Bandini e Jacopo Zoni, è stato un viaggio verso l’ignoto. Nulla poteva far loro immaginare la portata di quanto avrebbero visto una volta raggiunta la Romagna. E, complice il buio, se ne sarebbero resi conto davvero soltanto alle prime luci dell’alba.
“La situazione non sembrava così critica all’inizio – spiega Chiara – le strade deserte mi hanno ricordato i turni durante il lockdown.”
La prima missione della squadra è stata raggiungere Forlì, che stava velocemente sprofondando sotto centimetri d’acqua. Insieme a Vigili del Fuoco e Forze dell’Ordine ha supportato l’evacuazione dei civili, garantendo allo stesso tempo il supporto sanitario sui casi più gravi.
“Dopo una notte passata a muoverci tra le cittadine della provincia, alle 5 del mattino siamo stati mandati a Faenza. Arrivarci è stata un’impresa – ricorda la Volontaria-le strade erano completamente allagate e lo stesso casello si trovava sott’acqua, tanto che abbiamo dovuto prendere l’autostrada in direzione Ancona per poi tornare indietro.”
È a quel punto che, grazie alla prima, flebile luce del sole, si rendono effettivamente conto di ciò che era accaduto.
Il viaggio di ritorno si svolge nel più totale silenzio. Ma non c’è tempo per pensare.
Entro pochi giorni, il Coordinamento di Protezione Civile di Parma ha iniziato a gestire le esigenze e le disponibilità di mezzi e volontari, per supportare h24/7 le zone colpite.
“Così siamo ripartiti. – racconta Maria Chiara-Stavolta eravamo in sette e siamo stati mandati a Sant'Agata Sul Santerno, un Comune che in pratica non esiste più, sommerso da 20-30 centimetri di fango.”
Al ‘Punto Caldo’, i volontari hanno preparato caffè e bibite per rinfrancare l’animo di cittadini e volontari.
Un gesto piccolo, semplice, ma che ha permesso di dare conforto a quanti ne avevano bisogno.
“Da lì passavano circa 2000 persone al giorno. E ognuno di loro ha lasciato qualcosa. I sorrisi, la forza d’animo, la voglia di aiutare… ammetto che pensandoci mi commuovo. In particolare, mi sono rimaste impresse due ragazzine di circa 14 anni, che si sono affezionate molto a noi e ci hanno chiesto come avrebbero potuto diventare anche loro volontarie CRI. O anche una signora che ha tanto insistito per offrirci il caffè. È straordinario vedere persone che pur non avendo più nulla, conservano una così forte umanità e gentilezza.”
LA PARTE PIU’ DIFFICILE – LA STORIA DI GIUSEPPE
“L’attivazione per i volontari della Croce Rossa può arrivare tanto una settimana prima di partire, tanto il giorno prima. – spiega Giuseppe – Il Comitato della Croce Rossa Nazionale, Regionale e/o il Coordinamento locale della Protezione Civile raccolgono i bisogni e inviano mail in cui vengono richieste le disponibilità su giorni e attività specifiche, che potrebbero o meno trasformarsi in turni effettivi.”
Per poter operare in caso di emergenze, i Volontari della Croce Rossa devono aver svolto il corso OPEM, ovvero un corso di formazione nelle attività di Protezione Civile.
A questo si aggiungono, poi, diverse specializzazioni come, ad esempio, il soccorso idrico.
Le richieste, in caso di emergenza, possono anche riguardare i soccorritori, gli operatori sociali o i SEP (Servizio Psicologico di Emergenza). Tutti opportunamente formati in precedenza.
Nessuno si muove se non con le giuste qualifiche, al fine di ridurre al minimo il rischio per sé stessi e per gli altri, in situazioni già particolarmente complesse.
Giuseppe, Volontario CRI di Parma, è spesso impegnato in attività di emergenza, ma questa è stata la sua prima esperienza in un evento di così grossa portata: “Venerdì 19 maggio ci hanno mandato a Faenza. Da subito la situazione è apparsa drammatica, in quanto alcune zone non erano ancora state raggiunte da automezzi di soccorso attrezzati e nelle prime fasi il coordinamento tra i Volontari presenti può essere complesso. Abbiamo fatto quello che potevamo, lavorando fino a sera con interventi di svuotamento di abitazioni private e messa in sicurezza, sia in periferia che nel centro città”.
Ma non è la fatica fisica la parte più difficile.
“L’impatto psicologico è stato molto forte- spiega Giuseppe -Davanti a me avevo scenari di distruzione immensi. La tv non riesce a rendere pienamente l’idea della vastità del territorio interessato, né della gravità della situazione”.
Ciononostante, Giuseppe non smetterà di prestare aiuto “Aiutare chi ha bisogno è quasi una necessità per me. Al di là delle difficoltà e della durezza di quanto vissuto, ciò che mi porto a casa è la determinazione della gente e il grande rispetto che nutre per tutti coloro accorsi a supportarli e aiutarli”.
AMA, CONFORTA, LAVORA, SALVA– LA STORIA DI MARIELLA
Nell’immaginario collettivo, le ‘crocerossine’ sono ancora quelle ragazze quasi eteree che negli ospedali militari raccoglievano le ultime parole di soldati che esalavano l’ultimo respiro.
Un’idea romantica, che per quanto non completamente errata, ha poco a che vedere con quello che realmente sono le Infermiere Volontarie: donne forti, pronte a mettere a rischio la propria stessa vita per confortare e salvare quanti in pericolo.
Ma andiamo ancor di più nel concreto. Mariella Apuzzo è un’Infermiera Volontaria, Delegata all’Inclusione Sociale presso il Comitato Croce Rossa di Parma e, a tre giorni dall’alluvione, è stata mandata a Sant'Agata Sul Santerno.
Qui ha dato supporto al ‘Punto Caldo’, offrendo caffè, sorrisi e parole di conforto, ma anche tutta la sua allegra esuberanza.
“Ho iniziato a cantare Romagna mia, anche se con il nodo alla gola per l’emozione, e sono entrata nelle case, per cercare di restituire un po’ di serenità a quanti avevano ben poco da ridere in quei giorni. – spiega Mariella – La Croce Rossa è questo: portare la speranza dove regna il dolore, al motto ‘Tutti fratelli!’”
Mariella ci insegna quanto anche un gesto semplice, come bere insieme un caffè, possa fare la differenza: “Davanti ad un caffè o ad un tè si sono incrociate le vite nostre e degli alluvionati. Persone incredibili, di cui porto a casa la forza, quella degli anziani nel risollevarsi e quella dei giovani nel ricominciare.”
È sempre difficile andarsene, lasciare quanti hanno trovato nei volontari dei punti fermi in mezzo al caos, ma noi siamo “i primi ad arrivare e gli ultimi ad andare via”. E ogni addio è in realtà solo un “arrivederci”.
AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA – LA STORIA DI VERONICA
Questo paragrafo non dovrebbe esserci. Il narratore o, meglio, il giornalista, non dovrebbe mai entrare nella storia, per mantenere uno sguardo obiettivo sulle cose.
Eppure, non avrei potuto raccogliere e comprendere davvero le parole dei miei colleghi volontari se non fossi io per prima una volontaria della Croce Rossa. E se non fossi stata coinvolta anch’io nelle attività di emergenza.
Da Volontaria della Croce Rossa di Parma e Referente alla Comunicazione verso i Giovani per il Comitato Regionale Croce Rossa dell’Emilia-Romagna ci si aspetterebbe che la mia storia inizi quanto meno in Regione. E invece no. La vita e il lavoro mi hanno portato a Milano, ma il legame con il mio Comitato e con quanti lo animano resta più forte che mai. Per questo, quando la notizia dell’alluvione mi ha raggiunto con la durezza di un pugno allo stomaco, il mio primo pensiero è stato “Come posso aiutare?!”.
Ho iniziato dando supporto da remoto allo Staff Comunicazione della CRI Parma e, dopo aver ottenuto il via libera dal mio datore di lavoro, ho risposto alla call to action che chiedeva volontari disposti a fare turni di tre giorni a Faenza per spalare fango o dare supporto alla cucina mobile.
Alle 18.30 di sabato 27 maggio ho ricevuto la convocazione. Alle 19.20 ero su un treno per Parma, divisa, sacco a pelo e stivali antinfortunistici in borsa, e alle 6.30 della domenica già mi trovavo su un mezzo della Protezione Civile, in compagnia dei volontari del NIP Parma. Direzione Faenza.
Insieme ai volontari del NIP, alla Protezione Civile e alle Volontarie CRI di Tizzano, sono stata destinata alla Cucina Mobile Barilla, dove, sotto il coordinamento di cuochi volontari, abbiamo preparato quasi 1000 pasti al giorno, destinati ai volontari impegnati nell’emergenza, alle Forze dell’Ordine e ai civili.
Pasta al forno, polpettone, varianti vegetariane e senza glutine. La cucina in emergenza non me l’aspettavo così: piena di amore, di attenzione, animata dalla consapevolezza che il buon cibo ha il potere di scaldare il cuore e dare la carica anche nella peggiore delle situazioni.
In tre giorni, così intensi dal sembrare molti di più, ho conosciuto persone eccezionali, non ho mai visto sguardi tristi o cupi, non ho mai sentito lamentele dovute alla stanchezza, alle levatacce o alle scarpe antinfortunistiche che rendono i piedi pesanti.
Di questi tre giorni porto a casa la musica della radio che accompagnava ogni nostra attività, il “Fai le cose come vorresti venissero fatte per te” di una persona molto saggia, la moka da 18 tazze sempre pronta, il croccante che non potevo mangiare ma che, lo so, era buonissimo, le piccole, grandi gentilezze e gli occhi lucidi dei saluti.
Da questa esperienza torno a casa un po' più matura, un po’ più consapevole di cosa significa davvero “Ovunque per chiunque” e sempre più convinta che, per chi ha gli occhi per vederle, le persone buone sono tante e non hanno bisogno dei fasti da supereroi, sono solo persone comuni, pronte a tendere la mano a chiunque ne abbia bisogno. Anche solo con un caffè, una canzone o un piatto di pasta al forno.